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L’alieno Cafka sul trono del reddito

Mi chiamano Cafka, con la “C” di Caf, che sta per Centro Assistenza Fiscale, e non con la “K” dei centri okkupati e del deprimente Kafka, anche se con lo scrittore dello scarafaggio ho qualcosa in comune. Non certo la sua angoscia onirica, ma senza dubbio l’amore per la notte e l’attrazione per la metamorfosi quando trasformo ricchezza in miseria, lingotti in biscotti, imprenditori in barboni. Ieri la mia ultima mandrakata: ho ridotto allo stato di nullatenente un brillante giovanotto vomerese, cancellandogli tra l’altro la proprietà di un ristrutturato appartamento a Mergellina. Da oggi all’occhio del fisco risulta così “ripulito” da meritare per acclamazione il reddito di cittadinanza. Fino a qualche mese fa, pur intuendo la volontà dei nuovi burocrati del post di improvvisare la riscrittura della storia economica della Patria, mai avrei pensato che il mio lavoro potesse entrare con tale slancio nella giostra della svolta, grazie soprattutto allo strumento del reddito di cittadinanza, tanto caldeggiato dal cosiddetto “governo del cambiamento” e maldestramente messo in campo in una partita senza Var.

Dopo rotoli di notti e cartoni di pizze fredde, insieme ai miei collaboratori e amici di sostanza – anch’io ho il mio Max Brod -, in uno studio del Centro direzionale sorvegliato da un carismatico ficus, abbiamo definito un’idea e pianificato la sua completa realizzazione: creare a Napoli, città di primati e sublimi sperimentazioni, la prima scuola di Redditometria. Appurato che nel guado dell’incertezza e nel balletto delle circostanze avverse noi del Sud scoviamo energie non quantificabili e soluzioni fuori dall’ordinario, in linea con il programma stellare di “abolizione della povertà”, sostenuti da una conoscenza sbalorditiva del tessuto economico e sociale del territorio, inaugureremo lunedì prossimo, a Piazza Carità, senza fanfara né aperitivo rinforzato, il primo Istituto Italiano per gli Studi di Redditometria, scuola di alta formazione per conseguire il titolo di redditometra, nuova figura professionale specializzata nella mutazione dell’assistenzialismo e nella consulenza fiscale e psicologica ai poveri di domani. Già pronto il lancio mediatico dell’iniziativa formativa – la comunicazione è tutto! – con cartellonistica, banner promozionali sulle principali testate online, videospot consegnati nelle mani dei maggiori influencer di instagram in cui, puntando a sua maestà la provocazione, abbiamo immaginato ragazzi gioiosi, di tutti i colori e di tutte le razze, seduti comodamente su un divano chilometrico appoggiato a una parete che, a caratteri cubitali, mostra due scritte realizzate con spray rosso:

LAVORARE STANCA. METTI IL TUO FUTURO A REDDITO

Non è mia intenzione infoltire la fronda delle Cassandre, ma prima che i centri per l’impiego acquistino una dimensione europea ne passerà di tempo. Un dato preme sulla realtà italiana: i nostri “centri” hanno circa ottomila dipendenti, quelli tedeschi, invece, ne contano centomila. Certo, il governo, per mostrarsi sul pezzo e ammutolire gli scettici, ha iniziato a far volare nei cieli i navigator, figure professionali a supporto dei beneficiari del reddito, destinate ad atterrare nel mezzo della povertà come marziani d’indefinibile umanità o, se avete nel cuore gli anni ’80 e il mito delle videocassette, come la navicella spaziale Max nella vita del dodicenne David, rapito dagli alieni nel film cult della Disney Navigator. La confusione è il nostro stellone, la fantascienza la nostra realtà.

Nell’attesa d’innovativi software occupazionali, capaci di rivoluzionare il metodo d’incrocio tra domanda e offerta, estremi fautori di assunzioni qualificate per rilanciare le politiche del lavoro nel millennio “automatizzato”, come cafkiani crediamo fortemente nell’impresa che stiamo avviando perché va nella direzione di una nuova narrativa del sussidio proiettata alla giustizia sociale, alla semplificazione burocratica e all’investimento a tempo determinato sul cittadino “non ancora occupato”, “occupato poco” o “poco occupato”. Noi siamo gli alieni che salvano gli alienati. Avendo sempre vissuto e lavorato tra la gente, dando del tu ai numeri e alla precarietà, conosciamo meglio di altri i processi mentali dei nostri assistiti, che somigliano a funamboli in bilico tra una rata rimandata, il contante che non conta e un bonifico che tarda ad arrivare. Noi costruiamo la rete per chi cammina sul filo: l’equilibro interiore fa bene all’amore e soprattutto alle tasche.

Tra i corsi previsti nella scuola tengo a citare quello per la formazione del mental coach di cittadinanza, ovvero il costruttore di serenità e alibi morali che insegnerà a saper vivere con il reddito. Oltre a indirizzare i “disoccupati stellati” a una vita irreprensibile e a uno shopping etico e solidale, si occuperà anche nel diffondere le tecniche di rilassamento per respingere gli inevitabili strali di chi, non beneficiando del reddito, tassato e surclassato dalle frustrazioni, scatenerà una guerra tra poveri senza precedenti. Prezioso il materiale didattico che sarà distribuito agli iscritti come l’agile Dizionario per i redditini, guida sull’utilizzo delle parole giuste in attesa dell’inserimento professionale. Non vedo l’ora che mi chiamino perché ho un mondo da dare è il titolo del primo capitolo motivazionale, paginate scritte per alimentare le batterie della speranza, coltivare il low profile e suggerire l’uso strategico degli intercalari “esattamente” e “proprio così”.

La scuola darà la possibilità anche di partecipare a seminari sulla vera storia del Sud per fornire agli aspiranti redditometri citazioni e ricostruzioni utili a dimostrare che, alla fine della fiera, il reddito di cittadinanza è un doveroso risarcimento dell’Italia al Mezzogiorno deborbonizzato e vilmente depredato da quell’infamone di Cavour.

Mi chiamano Cafka e non ho più il mio vero nome. Sono un’entità che occupa e disoccupa destini. I miei occhi sono notturni, la mia voce è radiofonica. Sono l’antropologo dell’era precaria. Vivo nel tempo del cash immediato, del presente che ha ucciso il futuro, dell’eutanasia della tenacia, della rissa ai bancomat elettorali, del clamoroso provvisorio, del conta il risultato non il gioco, dove l’uomo è un bene come un altro, un voto, un numeretto nel disincanto, uno sputo che respira, un dado senza facce, un prodotto acquistabile e negoziabile in nome del popolo sovrano e sovranista. Ed è proprio qui, nel clamoroso provvisorio, che quelli come me crescono, operano, cantano, corrono, sognano, fondano scuole e provano goduria nel mettere l’anima in pace fiscale.

*(Scritto il 22 ottobre 2018, pubblicato nel libro “Tropico della spigola“, Iuppiter, 2019)

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