Ho finito di leggere la biografia su Flaiano di Pascal Schembri dal titolo Un marziano in Italia (Edizioni Anordest, 2010). Il discorso sulla Libertà e l’avventura di Kunt sono trattati impeccabili di satira. Il lavoro sulla parola di Flaiano era roba seria. Era un Balzac alla puttanesca, il migliore frammentista del Novecento, un talento col genio della goccia (non a caso spronato a scrivere e a “non perder tempo” da quell’altro genio di Longanesi), il teorico dell’evasionismo, morbo onirico dell’italiano vero.
Oggi che quest’altra giornata sta per rintanarsi nel suo lettuccio, apro La solitudine del satiro, libro postumo che raccoglie alcuni suoi articoli, e leggo: “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite variazioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicare le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete di arabeschi”. Visti i tempi sospesi e infetti, non credo che ci sia altro da aggiungere…