S’è fatta una gran cagnara sulla presenza di Zelensky a Sanremo e poi la guerra l’ha portata un piccolo cantante, caruccio e florescente, già vincitore dell’ammiraglia canora della Rai nei secoli dei secoli. Per un ritorno audio che non ritornava, ha massacrato i fiori del palco, che non sono solo fiori, ma sono i fiori di Sanremo, simbolo di eccellenza nel mondo, di grazia vitale, di fragilità poetica. Di luminoso disarmo.
Il cantante, all’anagrafe Riccardo Fabbriconi, in battaglia Blanco, ha mostrato ciò che capita ogni giorno sui muri, nei giardini, allo stadio, in metro, dove cavolo vi pare, quando qualcuno, nel trip dell’incazzatura, violenta monumenti, case, luoghi come se gli spazi pubblici appartengano all’umore dei propri tormenti. La giustificazione data dal piccolo Attila per l’attacco alla scenografia di rose è stata l’impossibilità di cantare per un problema tecnico e, quindi, sul palco qualcosa “dovevo fare”, “dovevo pur divertirmi”, perché “la musica è…”. La musica è? Considerando la dittatura del nulla che comanda la rete, lo sfogo sui fiori di un imberbe, con un cherubino tatuato sul petto, sarà tra i video più visti e condivisi. La persistenza della connessione stimola il tenore penoso dei contenuti.
Educazione, rispetto, umiltà, ironia spazzate via in un battito sul palcoscenico nazional-popolare e sempre di più nelle nostre città da coloro che, vivendo di atti dimostrativi, narcisismo ignorante e cortocircuiti emotivi, spaccano, sporcano, umiliano, rompono. A riparare poi ci pensano gli altri, a perdonarli ci sono i follower. So’ ragazzi gira già nell’agorà social per scagionare l’artista. Non meravigliamoci se prossimamente, per calcolo mediatico, ci ritroviamo Blanco con un mazzo di viole in mano che promuove i giardini sanremesi o intona inni ai boschi e alle orchidee.
L’istituzionale Roberto Benigni nel suo panegirico a inizio Festival, applaudito dal presidente Mattarella sul palco d’onore dell’Ariston, ha sottolineato che la nostra Costituzione è poesia e perfezione, ma dopo lo sterminio floreale a cui abbiamo assistito, qualche integrazione servirebbe alla nostra carta suprema dei valori, rafforzando, ad esempio, l’articolo 21 (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”), con la discrezione di una nota necessaria: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio disappunto senza calpestare le aiuole”.