Appena le dissero che avrebbe rivisto il mare, nei suoi occhi parve approdare una feroce gioia. Come quando era bambina e con le ginocchia sbucciate correva nei campi del sole, perdendo sorrisi nel tepore dell’erba. Dopo lo scippo dal calendario di mesi non più rimborsabili, la prima uscita dal buio la immaginava di giorno, mentre voci lontane le addolcivano il tempo, e anche di notte, nel pieno di una rissa di sogni che, il più delle volte, si chiudeva col fiato rotto nel sangue di baci scontrosi. Di quanto l’immaginazione possa divenire insostenibile, se ne rese conto quando, nell’aprire la temuta porta dei ricordi, si ritrovò smarrita in una stanza di foto tra ritratti di piedi alati sul dominio dell’acqua, auto fiammanti in circuiti d’orizzonti e giardini sorvegliati da una gendarmeria di merli. Carica degli scenari fioriti nell’attesa, appena la misericordia della controra allungò mani di luce e silenzi intatti, uccise il passo titubante e corse sfrenata verso la prima spiaggia. Nel sentire i veli del vento sul luccichio della pelle, riscoprì la voce del corpo nella bianca ritirata delle onde e nel non detto di un riflesso di pietre. Poi l’immersione, la libertà del respiro, la guerra dei gabbiani, la ribellione delle bracciate, il sonno delle barche e addosso il caldo amore dell’estate.