Tutto passa gli dicevano ogni volta che arrancava in una salita bastarda o si fermava al bivio della resa. Quel tutto passa non gli era mai piaciuta come espressione. Preferiva la rarità del tutto resta, perché il restare è memoria, feritoia sulle nuvole, sigillo di desideri e sangue buttato.
Poco gli importava se a resistere nel presente ci fossero tante sconfitte, troppi dolori, ostinati tormenti. Non gli importava perché sapeva che niente si costruisce senza il carico di fatica, l’odore della battaglia, i pugnali della notte, la paura della mattina, la necessità della perdita. E non gli importava nemmeno se quel suo insistere nella visione lo costringeva a soggiornare nel limbo degli irregolari, a dismisura affezionati al culto dell’arabesco e della scommessa.
Nel trovarsi a frequentare la solitudine, riuscì a stare in mezzo agli altri, assistendo con meraviglia a come l’imprevedibile aprisse finestre e i rimorsi bevessero ai bar. Fu così che passò una vita nel restare, innamorato della convinzione, anche in quei giorni rapiti dal vuoto, che nel tutto resta le idee avessero più possibilità di divenire querce, gli errori di colorare il catrame, i sogni di recuperare cuori all’improvviso.
Parafrasando, io sono per stare seduti sulle rive del fiume ad aspettare che gli altri passino!!!
Caro Antonio, il tuo è un restare e veder “passare”. Ci sta, dai! Un abbraccione