Gli chiesero per l’ultima volta, prima di spedirlo a vita al Ministero delle Fotocopiatrici, di rinnegare l’Inno all’Uomo Libero che aveva pubblicato su un foglio non allineato. Non riuscì proprio ad accontentare quella giuria accigliata, ma rilanciò mai preoccupandosi delle conseguenze: «Siete qui ancora a domandarvi chi è l’uomo libero? Lo avete davanti, anche se non ha sembianze di eroe o movenze di semidio, né scarpe alate o prodigi negli occhi. Io sono un uomo libero in carne e libertà. Sono dove mozzano le lingue dei poeti per raccoglierle e rianimarle nelle bocche dei sogni. Non m’interessano i colori dei regimi, mi è indifferente se è il nero che vige o il rosso che comanda: dov’è si silenziano gli uomini liberi c’è la mia scrittura armata, il mio sentimento di lotta.
Chi è totalitario ha paura dell’onirico, del dubbio creativo, dell’amore tra culture, del conflitto d’idee: la sua dimensione è ignobile perché ha i piedi nelle macerie dell’agorà e il naso nella mellassa del consenso. Nella sua corte desidera iene e lacché: guai a chi suppone o propone. Avanzamento di carriera garantito a chi sbrana il nemico non con il ragionamento ma con l’insulto travestito da critica e la minaccia camuffata da battuta. Peggio di lui c’è solo il finto democratico, il quale, privo di visione e lesto ventriloquo di Lucignolo, blocca la via del confronto leale come chi transenna un luogo per il rinvenimento di una bomba da disinnescare. La sua offerta politica è un residuato bellico.
Io sono un uomo libero perché non censuro il mio pensiero per convenienza né sono orientato alla richiesta di favori. Più di un favore mi servirebbe per vedere fiorire l’ultima idea, ma che giardino sarebbe quello in cui abbonda la terra del compromesso? Da uomo libero, pur avendo una certa passione per chi non la pensa come me, disprezzo con avida tensione gli scrittori che si professano immacolati, i frequentatori di attici cinematografici che contribuiscono alla sepoltura dell’arte indipendente, i cantastorie che si vendono per falsificare la loro fiaba, i bardi statali che seminano epiche a gettone.
Io sono un uomo libero perché mi sono liberato di me con la cura dell’interiorità, l’apertura al dettaglio, la difesa di un’aiuola, l’equilibrio del rischio. Nei momenti d’ira vorrei essere per un attimo Provvidenza pur di riuscire a ricompensare i buoni; in quelli di pace mi dedico a riordinare il guardaroba con un’accortezza: sto attento a buttare le scarpe vecchie perché credo che possano ancora custodire un passo da gigante».
Sto attento a buttare le scarpe vecchie perché credo che possano ancora custodire un passo da gigante
Un inno alla libertà che non ha nulla di retorico o di buonismo preconfezionato. Un pezzo interessante, profondo eppure piacevole che, con piglio ironico lancia una provocazione che vale la pena di raccogliere. Che sia preveggenza di futuri slanci liberi o visionaria immaginazione non è dato sapere ma non impedisce agli Uomini liberi di continuare a conservare quelle autentiche e malandate scarpe delle sette leghe che consentono a quanti lo vogliono di continuare a coltivare il sogno di un mondo – giardino in cui fioriscono idee capaci di andare oltre la mediocrità e la falsità.
Grazie Maria Pina per la tua riflessione!