Di passaggio a Napoli, un amico con gli anni contati, che soggiorna in una villa con le fondamenta nella spuma di Posillipo, si è sperticato in mielate per l’incanto della città. Lo ha fatto senza badare al tempo, immergendosi nel tono di chi ha in tasca il biglietto di ritorno. Nel suo panegirico, imbastito tra una zeppola fritta e un caffè bruciato in un bar con sedute finanche sotto un tabernacolo pericolante della Madonna di Piedigrotta, la parola fermento ha staccato le altre, infilata un po’ ovunque, nel cinema e nel turismo, nell’arte e nel rap, nella gastronomia e nella movida. Notando una mia compostezza nell’ascoltare il suo peana, tipico di chi la città la vive dal finestrino, mi ha chiesto cosa pensassi di questa Napoli, non essendone mai andato via. Avrei voluto ritirarmi in un tacito dissenso, ho provato a virare su intrighi internazionali e sui testi dell’ultimo Sanremo, alla fine ho ceduto, consegnandogli un definitivo souvenir.
«Quello che tu chiami fermento è antica frenesia, che raramente produce genialità, quasi mai visione d’insieme, di solito nuove opportunità mercantili; il luogo conserva una bellezza irripetibile e una provvisorietà mistica che trae origine dalla consapevolezza di sorgere nel mezzo di due vulcani con corpo e anima piantati tra i vuoti tufacei e i pieni del mare. Il sole è stabile come l’incuria e la sceneggiata, resistono le ricevitorie del lotto, i fuochi d’artificio e lo spaccio dei corni, spariti del tutto gli sciuscià e i vigili, persistono le voragini stradali e la nullità degli amministratori comunali, così zelanti nell’aprire tavoli per distribuire solide lagne e cittadinanze onorarie. Col tozzi tozzi del turistume, la popolazione ormai si divide in chi ha un b&b e in chi desidera averlo: anche chi è proprietario di un fondaco indecente immagina di farci una suite.
La popolazione si divide in chi ha un b&B e in chi desidera averlo
Le friggitorie battono i musei, nell’aria fritta ci si dimentica che oltre al tempietto di Maradona ai Quartieri Spagnoli ci sarebbe da onorare il Caravaggio delle Sette opere di Misericordia. Non mi sovvengono al momento nomi di imprenditori illuminati, cambiatori di rotta e autorevoli camorristi, si riscontrano tracce di degni eroismi alle fermate del pullman e tra i semafori di via Acton. La città è un cinematografo a cielo aperto dove non manca mai nella programmazione il dramma commemorativo e la commedia del dopopartita: è inquietante come la filosofia del pallone abbia sotterrato quella di Vico e Croce. Nell’arabesco dei baretti, la democrazia della notte si regge sul voto per alzata di gomito. L’indole all’adulazione continua a ronzare nei perentori “Dottò, prego!” di questuanti, venditori di calzini e incensatori abusivi, determinanti nell’aumentare il tasso dei laureati del Sud. Sono loro i veri rettori di Napoli».