Nel rullio di quei giorni frustranti, abbandonato dai sogni, si ritrovò passeggero di una nave di tracotanza. Non era il viaggio che aveva programmato, ma la ressa all’imbarco e i fucili puntati del tempo lo spinsero a bordo, smarrito come un poeta al supermarket. Non c’era un solo cristiano su quel bastimento che non si sentisse superiore agli altri, tanto da provocare inevitabili turnazioni al governo del timone e dissertazioni chiassose sulla rotta da seguire. Sia dal cielo, così cangiante d’ali, che dal mare, rapito più del solito dagli archi volanti dei delfini, si accorsero dell’immobilità della navigazione, mutevole per dispetto, sprovveduta imposizione ed esercizio di vago sapere.
Anche dal ponte lo scenario fermo e la vista dell’illusorio passaggio a livello dell’orizzonte mostravano quanto fosse inutile giocare col dado dell’arroganza e quanto mancassero capitani privi di parole, abitati dalla consapevolezza della terra. Svegliato nel suo cantuccio dall’ultimo litigio per lo scettro, vedendosi solo in quell’ordinaria notte di navigate stelle e d’umido nelle ossa, non riuscì più a perdonare l’ennesima razzia del silenzio e a perdonarsi la sospensione del coraggio. Gli uccelli notturni e i giraluna spuntati nel luccichio delle onde seguirono quell’uomo che dalla linea del buio prese un fucile del tempo e puntò la tracotanza. Non aveva più senso la traversata nel vuoto né l’attesa degli spari altrui. Finalmente fu battaglia di rinascita e strage di sensi di colpa.
Mi pare evidente l’allegoria su chi ci governa!
Su chi ci governa, su chi ci ha governato, su chi vorrebbe governarci…